La cantina

Consideriamo il vino come un organismo vivente, poiché è figlio di organismi viventi. Lo immaginiamo con il cuore dell'uomo, del quale è creatura, e con lo scheletro della vite, della quale è figlio.

Ma l'organo più grande e misterioso è la pelle. La pelle compie, per l'organismo che essa avvolge, una funzione ben specifica e, contemporaneamente, la funzione contraria.
Soffermiamoci, per un istante, a riflettervi..
La pelle è la protezione dell'organismo dall'esterno ed il mezzo del suo contatto con esso. È l'organo dell'arcigna difesa dell'essere vivente ma, contemporaneamente, della sua sottile sensibilità. Chiude ed apre le vie di scambio con l'ambiente circostante, attraverso il passaggio di liquidi e sostanze gassose. Per questo motivo, dedichiamo infinite attenzioni alla pelle del vino, ossia, al contenitore che lo accoglie. Proprio così: il vaso vinario agisce come fosse la pelle del vino che contiene. La scegliamo e ce ne prendiamo cura, sia nelle fasi giovanili del vino che in quelle adulte.
Il cemento, pelle coriacea, scolpita in grandi vasche, a forma di parallelepipedo, protegge alcuni vini, nelle loro delicate fasi giovanili, quando sono inermi.
La terracotta delle anfore, più fragile, permette la vita dei vini più strutturati, robusti e tenaci, in grado di badare a sé stessi.
Il legno dei tonneaux, flessibile e resistente, è una pelle unica, come un abito sartoriale: ciascun barile è differente dall'altro e meglio si adatta ad un vino, rispetto ad un altro.
Alda Merini scrisse: “La poesia è la pelle del poeta”. Noi siamo convinti che avesse ragione, fino al punto di pensare, con analogo misticismo, che il recipiente sia la pelle del vino.

Sono sei, grandi, imponenti, misteriose.. eppure sono fragili.

Le anfore sono arrivate, dopo un lungo viaggio, iniziato, parecchi mesi fa, nella Georgia russa. Eppure sono fragili. Le guardiamo, ancora per qualche giorno, in tutta la loro maestosità, perché sappiamo che debbono essere interrate.

Non solo a causa della loro fragilità ma, soprattutto, per riportarle a contatto con la terra, materia della quale sono fatte, materia della quale hanno bisogno, per poter funzionare. Interpretiamo la vinificazione in anfora a modo nostro, utilizzando una lunga esperienza con le fermentazioni e le macerazioni a cappello sommerso. Usiamo canne di bambù, per confinare le bucce delle uve al di sotto del pelo libero del vino; mantenendole immerse ma separate dal liquido, per spostare il più in là possibile il momento della loro separazione definitiva. È un piccolo tradimento della tradizione georgiana. Lo sappiamo, ma tradimento e tradizione hanno etimo comune, proprio perché la tradizione cambia e si rigenera, nel tempo, attraverso tanti piccoli tradimenti che noi siamo abituati a chiamare cambiamenti.

Non sappiamo, esattamente, ciò che le anfore daranno i nostri vini; fa parte del loro mistero. Ci basta sapere ciò che danno a noi e siamo certi che, a nostra volta, noi lo restituiremo ai nostri vini.

Per migliaia di anni, prima che la scienza soppiantasse il mito, prima che i protocolli sostituissero i rituali, l'uomo ha sotterrato oggetti, affidandoli, speranzoso, alle benefiche forze telluriche, capaci di rinnovare e trasmettere energia vitale a tali oggetti. Questa pratica atavica ci ha spinto ad interrare le anfore in terracotta e ad affidare a loro la cura dei nostri vini. Il luogo in cui sono allineate è divenuto la nostra stanza di aspetto. Qui, attendiamo, fiduciosi, i nostri vini, prima di condividerli con voi.


Il tonneau si è alzato, in piedi.

La sua consueta posizione orizzontale, coerente con la forma a culla, propria del barile - quasi propizia al riposo dei vini in affinamento - non è in sintonia con il nostro percorso di vinificazione. Abbiamo bisogno di verticalità. 

Perché?

Per noi, non esiste distinzione fra il momento della fermentazione ed il periodo di affinamento. Interpretiamo il tempo di vinificazione come se fosse un lungo presente, senza fratture fra il prima ed il dopo.

Per questo motivo, non separiamo le bucce dalla parte liquida, perché sono figlie della stessa materia: la bacca d'uva. 

Rimangono insieme, come era sulla pianta, in un

percorso creativo che vede nascere il vino nel momento stesso della loro separazione: in quell'istante, il prima si separa dal dopo. Quel prima può durare parecchi mesi od anche anni. In quel prima, le bucce delle uve, compatte, fluttuano nel liquido, in galleggiamento sommerso, come fossero un sommergibile in emersione. Ecco perché abbiamo bisogno della verticalità.

Il cilindro in acciaio, nella parte sommitale del tonneau, sembra proprio essere la torretta del sommergibile. In realtà, è l'elemento distintivo, nell'originalità della nostra soluzione: serve per creare un vaso d'espansione per la parte liquida, affinché le bucce rimangano sempre immerse in essa, confinate al di sotto del fondo superiore del tonneau.

L'obiettivo della lunga macerazione non è quello di estrarre sostanze dalle bucce, per cederle al liquido. Lo spirito del vino non è né quello della sottrazione, né quello dell'addizione, ma quello dell'eguaglianza. L'obiettivo è dare tempo alle parti per ricostituire quell'equilibrio che si è frantumato, nel momento della rottura degli acini, quando lo zucchero è stato distrutto per generare alcol, quando molte sostanze, presenti fino a quel momento, nelle uve, sono state metabolizzate dai lieviti. Ripristinare gli equilibri richiede tempo. Quel tempo è il prima. Il dopo, lo affidiamo a voi.

Una pietra speciale

Un vecchio vocabolario dell’etimologia italiana riporta quanto segue, a proposito del lemma cemento: “[...] Qualunque composizione di natura glutinosa o tenace atta a legare insieme più cose”. Per estensione, il verbo cementare diviene parola per indicare il misterioso processo di rafforzamento delle unioni spirituali, fra individui; per esempio, l’amicizia.

D’altronde, il conglomerato cementizio (volgarmente detto cemento) è una pietra speciale. Una pietra liquida. Già, una pietra disposta a rinunciare alla propria essenza, la durezza, per essere plasmata nelle forme desiderate, prima di ritornare ad essere pietra solida. Da migliaia di anni abbiamo instaurato un rapporto speciale con questa pietra, al punto tale di poterla considerare, anche in senso stretto, una pietra domestica.

Questo è il fondamento del nostro rapporto con la botte in cemento. Condizionato dal fascino di una pietra che è stata liquida come il vino che, oggi, contiene nelle sue forme solide. Una pietra che è stata utilizzata, nella storia, per costruire le dimore di miliardi di uomini. Questo rapporto intimo con la materia ha condotto l'uomo, nel tempo, ad un lungo processo di domesticazione di questa pietra e, viceversa, la pietra ad un inevitabile processo di condizionamento dell'uomo.

Siamo perfettamente consapevoli che questo racconto sia pura emozione, narrazione irrazionale. Siamo altrettanto consapevoli, nel contempo, che il vino abbia, nell’irrazionalità delle emozioni, la propria essenza. D’altronde, chi mai potrebbe immaginare che la prima struttura in cemento armato sia stata pensata per creare un vaso di fiori? Chi mai potrebbe immaginare che l’imponenza del cemento armato sia stata utilizzata, per la prima volta, per sorreggere un esile fiore? Non è, forse, altrettanto irrazionale?

Il Vino Macerato in Anfora: un viaggio nella tradizione e nell'eccellenza enologica

Il mondo del vino è ricco di tradizioni e tecniche che si sono evolute nel corso dei secoli. Una di queste tecniche, che sta vivendo una rinascita e attirando l'attenzione degli amanti del vino, è la produzione di vino macerato in anfora. Esploreremo qui cosa rende speciale il vino macerato in anfora e perché dovresti considerare di acquistarlo.

Una Tradizione Millenaria

L'uso delle anfore nell'arte della vinificazione risale a migliaia di anni fa, risalendo all'Antica Grecia e all'Impero Romano. Questa pratica è stata riscoperta e rivitalizzata dai produttori di vino artigianale in tutto il mondo. Le anfore, generalmente fatte di terracotta, offrono un'alternativa affascinante alle botti di legno tradizionali e alle moderne tecnologie in acciaio inox. Questo metodo di fermentazione e invecchiamento conferisce al vino alcune caratteristiche uniche.

Il Processo di Macerazione in Anfora

Il vino macerato in anfora è noto per il contatto prolungato con le bucce dell'uva, il che porta a una maggiore estrazione di aromi, tannini e composti fenolici. Questo processo può durare settimane o mesi e contribuisce a creare vini con una profonda complessità aromatica e una struttura tannica ben definita. Inoltre, le anfore permeabili consentono una microossigenazione leggera, contribuendo alla morbidezza del vino.

Rispetto per la Natura e il Territorio

I produttori di vino che scelgono di utilizzare anfore spesso enfatizzano la sostenibilità e il rispetto per il territorio. Questi recipienti naturali sono realizzati da argilla o terracotta non trattata chimicamente, il che riduce l'impatto ambientale. Inoltre, la fermentazione spontanea, senza l'aggiunta di lieviti o sostanze chimiche, è una pratica comune tra i produttori di vino macerato in anfora, sottolineando un'approccio più naturale alla vinificazione.


Variazione e Individualità

Ogni anfora è unica e porta con sé la sua personalità. Questo si riflette nei vini che invecchiano in esse. I produttori possono sperimentare con diversi tipi di anfore, terroir e uve, creando vini che raccontano storie uniche. Questa variazione e individualità offrono agli amanti del vino l'opportunità di scoprire profili di gusto unici e sorprendenti.

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